Illasi e dintorni
Il Castello di Illasi
Collocato sul crinale di una collina, il castello aveva il compito di contribuire, assieme al castello di Soave, al controllo dei percorsi di fondovalle. Se ne ha notizia certa dall’anno 971. Nel 1004 un documento lo indica proprietà privata del diacono Moisè; e nel 1223 risulta in possesso della potente famiglia dei Montecchi, che dieci anni più tardi lo consegnò a frate Giovanni da Schio, il quale, pacificate le città venete in continua lotta, vi pose un presidio di truppe vicentine.
Nel 1243 fu occupato da Ezzelino da Romano, quest’ultimo indicato da una bolla di papa Nicolò IV come ricostruttore del complesso, che allora si trovava in un non felice stato di conservazione. Datato 27 giugno 1289 e diovo di Mantova Filippino, il documento attesta una donazione ad Alberto I della Scala e suoi discendenti da parte del pontefice, riconoscente verso lo Scaligero per la cattura da parte di questi , a Sirmione, di un numeroso gruppo di eretici “patarini”. Oggetto della donazione erano “la torre con il palazzo e le macerie che dal detto castello si dicono restare, con tutti i diritti e le sue pertinenze in quanto si conoscono appartenere alla Chiesa romana”.
Proprietà privata dei Della Tavola nel corso del XIII secolo, nel 1269 il castello venne occupato da Pulcinella delle Carceri, in lotta con Mastino I della Scala, che lo adibì a proprio rifugio. L’anno successivo lo statuto detto Albertino registra l’atto di cessione del complesso da parte di Umberto della Tavola ad Alberto I della Scala assieme al castello di Soave e altre rocche.
Dagli scaligeri il complesso ricevette nuovo vigore ed interventi di consolidamento vari. Nel 1280 un’incursione padovana gli lasciò i segni del suo passaggio. Più seri però furono i danni recatigli dal ritorno delle truppe veneziane (giugno 1405) inviatevi per strappare il castello ai Da Carrara, alleatesi con Guglielmo, ultimo dei figli illegittimi di Cangrande della Scala. Il capitano delle truppe carraresi, accortosi che gli Illasiani si dimostravano favorevoli alla riconsegna della rocca alla Dominanate, appiccò il fuoco al maniero che ne riportò gravi ferite.
I castello tornò ad essere teatro di guerra nel 1439. Il 28 marzo di quell’anno Nicolò Piccinino, celebre capitano di ventura al servizio di Filippo Maria Visconti, pose le tende ad Illasi, dopo aver inflitto una severa sconfitta alle truppe veneziane e occupato il castello di Soave.
Spenta la stella viscontea e ritornato il vessillo di S. Marco, il castello andò via via perdendo importanza in campo militare, anche in conseguenza della politica di pace perseguita da Venezia. Nel 1509 questa decise di concederlo in feudo ad un valoroso condottiero Girolamo Pompei, detto “Malanchino”, la cui famiglia vantava da secoli diritti in quel di Illasi. L’investitura rappresentò per i Pompei non solo un atto di splendida e doverosa generosità ma costituì anche la loro reintegrazione in un possesso goduto da secoli e che, attraverso una serie di avvenimenti storico-militari, era finito in mani “estranee”. Invero nel possesso del loro feudo i Pompei entrarono veramente solo dieci anno dopo, una volta conclusa la guerra fra l’imperatore Massimiliano d’Austria e Venezia.
Nel castello di Pompei tennero la loro residenza anche nel corso dei secoli XVII e XVIII; nel Settecento la sostituzione con la villa costruita al piede dello stesso colle.
Struttura architettonica
Dal punto di vista edilizio il castello si articola secondo un modello di organizzazione distribuita (mastio ovvero residenza castellana affiancato dal cassero dormitorio delle milizie) che sarebbe in seguito stato applicato anche in molteplici altre fortificazioni scaligere.
In esso predominano le forme dell’impostazione originaria altomedioevale, particolarmente evidente nella cinta ad andamento pressoché ellittico, per circoscrivere la sottostante collina. Ben curate sono, qui, le tecniche murarie di realizzazione delle strutture del mastio e del cassero, sia per la finitura dei paramenti esterni che per la qualità dell’apparecchio delle murature, tutte dello spessore medio di circa tre metri, realizzate con grandi conci rettangolari di tufo duro.
Altro 32 metri, il mastio possiede una pianta quadrata di 10 metri di lato, con un alto zoccolo scarpato ( l’originaria inclinazione è stata modificata dalla riparazione cinquecentesca), destinato a cisterne, magazzino e servizi vari. Sembra preesistere alla trasformazione scaligera, cui probabilmente si deve, in particolare, il grande cassero che lo affianca. L’accesso si presenta a quota elevata; e le finestrelle sono numericamente scarse e arcuate a tutto sesto.
Il cassero, costruito a poco più di 15 metri di distanza dalla torre, unito al mastio da una cortina che si distacca dall’altra all’altezza della torricella di sostegno, presenta anch’esso un accesso elevato su di uno zoccolo altro circa 8 metri, di base rettangolare (20×25 metri), con un’altezza di 26 metri, suddiviso su due piani. E’ coronato con merlature attorno ad un terrazzo sommitale, praticabile.
La cinta è contraddistinta anche da una sola porta d’accesso, sul lato meridionale, e non esibisce alcuna torricella di sostegno sporgente altre il filo del muro esterno.
Corte Reale (Concorreggio)
La località Corte Reale (Concorreggio) è caratterizzata da un insieme di edifici che determinano la tipologia tipica della corte chiusa. Si è attratti dal nucleo centrale tipico nella sua classificazione come casa padronale dall’aspetto aristocratico. Il prospetto frontale presenta nel suo asse principale tre elementi importanti: l’ingresso ad arco, il balcone a loggia e lo stemma araldico. La cromia dei materiali con le sue tinte delicate è riconoscibile nella natura circostante in simbiosi con l’ambiente della campagna della vallata d’Illasi. Aldilà della sua importanza architettonica tutto il complesso è particolarmente caro e conosciuto alla popolazione locale, perché è ricordato come residenza di S. Rainaldo Concorreggio.
Chiesa di Sant’Anna
Anche se si presume una preesistenza come luogo sacro romanico, la chiesa di S.Anna, nella configurazione architettonica attuale, fu costruita nel 1650 dalle sorelle Diamante e Ginevra Cipolla e per questo motivo, anticamente, la chiesa era chiamata anche “delle ceole” (seole). La facciata, rimasta di costruzione seicentesca, è a capanna, con un portale di ingresso semplice, contornato da bordi in tufo. Sopra al portale una finestra a lunetta, tipica di molte chiese della nostra vallata, sostituisce quella circolare ad occhio o il rosone. L’interno è ad una navata, lo spazio meditativo è tipico delle cappelle di “famiglia”, gli arredi essenziali. Nel 1930 è datato il restauro a cura dell’avvocato Pietro Avrese. In tale occasione le pareti interne vennero arricchite degli affreschi del pittore Carlo Donati. La chiesa è fulcro di una sentita devozione popolare che si rinvigorisce ogni anno il giorno della solennità di S.Anna. In questo luogo sacro celebrò la sua prima messa San Gaspare Bertoni, fondatore della Congregazione dei Padri Stimmatini.
Chiesa di San Marco
E’ stata edificata nel 1958 dall’illustre professor Alberto Trabucchi per la sua devozione a San Marco.
Lo stile riprende e reinterpreta la struttura pura delle chiese medioevali-romaniche sparse lungo la nostra vallata. La facciata a capanna è arricchita nella parte alta da una finestra circolare detta “occhio” ed è preceduta da un portico con tre archi a tutto sesto.
Lo spazio interno rievoca nella sua sobrietà lo spirito meditativo e di preghiera tipico di questi “piccoli” templi. Il campanile è a pianta quadrangolare e nella cella campanaria vi sono nove campane, famose per i concerti che si tengono ogni anno per il trofeo in memoria del professor Trabucchi. La sua verticalità si inserisce naturalmente con la severità dei cipressi circostanti.
Anche questo luogo sacro, seppur di recente costruzione, incarna nei suoi volumi l’architettura tipica del luogo. L’armonia cromatica e paesaggistica dei materiali rendono la chiesa di San Marco piacevole alla vista, in simbiosi e sinergia con l’ambiente circostante.
Chiesa di San Felice
Il Santuario di San Felice, posto sul valico che mette in comunicazione la Val d’Illasi con la Val Tramigna, pur appartenendo al Comune di Cazzano è parte integrante della cultura, delle tradizioni e della fede di Illasi e della sua valle. La chiesa rappresenta uno degli esempi più significativi del romanico: tutti i suoi componenti ne esaltano le caratteristiche. Tipica è la sua facciata a capanna, con un’impostazione degli elementi architettonici disposti a simmetria rispetto il colmo del tetto. Il prospetto frontale è preceduto da un cortile murato sormontato da una cancellata in ferro. La facciata è caratterizzata da massicci contorni in tufo e si conclude, nella fascia alta, con una mensola sporgente sormontata agli estremi da tre pigne con croce. L’interno è ad un’unica navata, terminante con un’abside. L’insieme è armonico e incarna pienamente lo spirito meditativo delle costruzioni religiose romaniche. Rilevante è la struttura iconografica degli affreschi del XIV° secolo, che rendono questo luogo sacro uno dei più espressivi dal punto di vista artistico. Sin dai tempi di Papa Lucio III, che in questa chiesa sostò e la cui visita è ricordata da una lapide posta nella parte sinistra dell’arco trionfale, S. Felice è luogo di concessione di indulgenze.
Fontana di Arano
Cellore è una frazione del comune di Illasi. Si colloca a nord rispetto al capoluogo, sulla strada provinciale che attraversa tutta la Valle d’Illasi. Come giurisdizione ecclesiastica il paese appartiene alla Diocesi di Verona ed è sede di parrocchia (San Zeno Vescovo).
Il toponimo ha origine incerta: potrebbe derivare dal latino “Cella” (ovvero deposito, dispensa, magazzino) o da “Cellarius” (dispensiere). Recenti studi dello storico P. Zorzi propendono per “Cellula”, come dimostrano diversi documenti a partire dal XV secolo. La storia di Cellore ha radici lontane: un insediamento risalente al 700 a.C. venne ritrovato sul monte Gardon inoltre, sullo stesso monte, vennero trovati cocci risalenti all’Età del Bronzo, oltre a selci e punte di freccia attribuibili al Neolitico.
Nel 2007, in località Arano, su un’area destinata alla lottizzazione, è stata ritrovata una necropoli risalente a circa 2000 anni a.C., che gli archeologi fanno risalire al periodo Eneolitico. Gli scavi sono terminati nel 2009 e hanno rivelato una settantina di sepolture contenenti scheletri rannicchiati in posizione fetale. Ritrovamenti di monete, reperti e il monumento funebre ai Sertorius (in località Cisolino)indicano la presenza degli antichi romani nell’area, ampiamente confermata dalle ultime ricerche del Zorzi.
Nel 1878, durante gli scavi per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale, venne ritrovata una necropoli attribuita ai longobardi di Alboino [anno 570). E circa alla stessa data si presume risalga l’antica Abbazia di San Zeno minore, dipendente da quella omonima presente in città. Sia Federico Barbarossa (nel 1163) che Papa Urbano III (nel 1187) confermarono l’assoggettamento dell’Abbazia di Cellore a quella di San Zeno in Verona.
Erano presenti un convento benedettino, sorto dopo l’anno 1000 (lo ricorda ancora oggi il cosiddetto “Arco delle Madonne”), un altro convento (sempre dei frati della Regola benedettina) e la dimora nobiliare della famiglia De Nicolis (ad Arano), ancor oggi ben conservata e che presentava in facciata lo stemma gentilizio del 1437 (asportato con l’ultima ristrutturazione). Già nel 1488 si ritrova citata nei documenti la fontana di Arano (la vasca odierna non è quella originale che però è visibile nella recente pubblicazione “Le origini di Illasi”). Il paese seguì le vicende della zona, soggetto dunque per secoli alla dominazione veneziana ma comunque un comune a sé stante (fino al 1825 circa).
Abbazia Minore di San Zeno – Cellore
Nella piazza di Cellore, accanto alla Chiesa parrocchiale, si trova l’Abbazia detta “minore” di S.Zeno, perché dipendeva da quella maggiore di S. Zeno di Verona. Molteplici e importanti notizie storiche la caratterizzano e la identificano come uno dei siti artistico-architettonici più rilevanti della nostra vallata. Nel 1067, Matilde di Canossa donò la contea di Cellore, con la sua abbazia, all’Abate di S.Zeno di Verona. I possedimenti furono confermati e riconosciuti nei secoli successivi anche da Federico Barbarossa, da Papa Urbano III e dalla Serenissima Repubblica di Venezia. L’attuale facciata è frutto del troncamento eseguito nel 1878 per la costruzione della vicina Chiesa Parrocchiale, mentre l’originale è sul fronte opposto. L’interno è ad una navata, con copertura a capriate, e ad un’attenta lettura spaziale si intuisce la sua originaria grandezza, motivata dalla presenza di opere di notevole valore artistico, che meriterebbero spazi di descrizione più ampi per pregio e notevole documentazione. Sotto l’intonaco che ricopre le pareti, esiste un patrimonio di affrescature “ancora tutto da scoprire”, come testimoniano i restauratori. Anche la vicina Chiesa “maggiore” merita una visita per alcuni capolavori che custodisce: dal celeberrimo altare barocco di Andrea Pozzo, proveniente dalla distrutta chiesa di S.Sebastiano di Verona, al suggestivo e struggente Gruppo scultoreo della Crocifissione di Rigino di Enrico o Maestro di Santa Anastasia del XIV secolo.
Villa Perez Pompei
La villa fu costruita nel 1737 dalla famiglia Pompei che, con un secondo ramo, già possedeva a Illasi la villa Pompei Carlotti, che dà sulla piazza principale. La villa Perez Pompei appartiene oggi alla famiglia Sagramoso e si trova a circa 200 metri dal centro del paese.
Villa Perez Pompei ha l’aspetto di un palazzo di città. Il suo corpo centrale, a tre piani, ha un portico con cinque archi, accanto al quale è disposta una doppia coppia di aperture rettangolari con eleganti cornici in pietra. Lungo il piano nobile si dispone una serie di finestre contornate da una semplice cornice lineare in pietra. Ai lati della villa due ali, le barchesse, sono arretrate rispetto al fronte principale. L’ala di sinistra, la parte più antica del complesso, fu costruita nel 1615 e presenta un alto loggiato dorico in corrispondenza del primo piano. All’interno si trovano ampi saloni, gallerie e stanze decorate da affreschi settecenteschi.
Un giardino all’italiana ornato di statue è disposto oggi di fronte alla facciata principale, mentre una volta si trovava sul lato destro della villa. Un ampio sentiero, che parte dalla villa e si svolge per una lunghezza di cinque chilometri all’interno del grande parco, conduce fino al castello. La vegetazione appare in parte spontanea, in parte potata con regolarità. Lungo il cammino si intravede un fossato che un tempo era un laghetto, con la stessa forma del lago di Garda. Il padiglione in stile orientale che un tempo ospitava le serre, adiacente al giardino all’italiana, è stato recentemente trasformato in ristorante.
Villa Carlotti
La villa Pompei Carlotti si trova su un lato della piazza principale del paese. Giovanni Paolo Pompei acquistò nel 1652 a Illasi un piccolo edificio dai nobili Vettura. Tra il 1683 e il 1687 lo fece ampliare dall’architetto Vincenzo Pellesina. Nel 1700 Alessandro Pompei fece costruire la cappella, che dedicò alla Coelorum Regina. Nel suo interno si trovano oggi le tombe degli ultimi Pompei e di Giulio Carlotti, cui la proprietà è passata dopo la morte dell’ultimo Pompei. Il complesso, dalla forma a “U” e con il fronte anteriore rivolto a sud, si compone del corpo centrale, con il pronao a quattro colonne e due brevi ali laterali, di due corpi perpendicolari e di due torrette a base quadrata. Le due torrette laterali probabilmente in origine erano colombaie (ospitavano piccioni viaggiatori utilizzati come messaggeri). Completano il complesso il piccolo oratorio, adiacente alla torretta est, una lunga barchessa, un tempo adibita a scuderia, e infine il vasto giardino all’italiana che circonda la villa. La planimetria del primo e del secondo piano del corpo centrale riprende, molto semplicemente, la tipologia distributiva della villa veneta, con il salone centrale passante e le quattro stanze poste lateralmente. Internamente le sale del piano nobile sono tutte affrescate.
Parrocchia di Illasi
In un documento della Biblioteca Capitolare si legge che “nell’anno 920 fu arciprete della pieve di S. Giorgio di Illasi Mastro Azzone”, mentre Clemente III nel 1188 conferma alla stessa pieve i beni che possedeva e le “consuetudini antiche”.
Nella sacrestia è conservato un affresco, rappresentante la Madonna con Bambino e Angeli, strappato dal protiro dell’antica pieve di Santa Giustina di Illasi e trasportato su tela. E’ attribuibile alla scuola di Stefano da Verona e databile intorno al III decennio del XV secolo. L’interno è caratterizzato dalle belle decorazioni del pittore Carlo Donati, eseguite nel 1941.
Chiesa di Santa Giustina
Probabilmente è la più ricca di storia fra le chiese esistenti nel territorio comunale. E’ sorta infatti presso il cardine massimo della centuriazione (lottizzazione del terreno) operata dai romani in questa zona. Dove il terreno veniva “centuriato”, cioè diviso con precisi criteri geometrici e quindi coltivato, tutt’intorno si sviluppava la vita economica e sociale.
Il culto di S. Giustina era molto diffuso nel Veneto e il sacrificio della martire padovana (morta nel 304) contribuì in maniera decisiva alla diffusione del cristianesimo nell’Italia nord-orientale.
Il più antico documento sulla chiesa risale al 1082, dove viene definita cappella rurale, e sulla trave di mandorlo della torre campanaria è impressa una data: 1101. Ma l’edificio pare risalga ad epoca di molto anteriore. Sotto l’altare, nella prima metà del secolo, fu rinvenuta una pietra dedicata agli imperatori Massimino e Costantino. Sembra infatti che S. Giustina abbia subito il martirio proprio sotto Massimino. Nel 1700 la chiesa venne rimpicciolita perché pericolante. La tradizione popolare, confermata dai verbali delle visite vescovili del 1400, la vuole quale prima parrocchia di tutta la zona.
La struttura architettonica rispetta fedelmente le caratteristiche costruttive e le finalità religiose tipiche della arte romanica. La facciata è caratterizzata dal portale rettangolare contornato da un semplice bugnato e dalla sovrastante finestra a lunetta semicircolare. La copertura è a capanna, con coppi veneti. La torre campanaria, a base quadrangolare e caratterizzata dalle pietre a vista, molto severa nella sua struttura, è l’elemento verticale che nell’insieme determina una volumetria semplice, ma suggestiva e armonica tra le parti. Di particolare bellezza le finestre a bifora corrispondenti alla cella campanaria.
Oratorio di San Rocco
L’Oratorio, posto a fianco della chiesa parrocchiale, vicina al municipio, sullo sfondo il castello, domina piazza Sprea nonostante la sua non eccessiva struttura architettonica crea una simbiosi armonica tra natura, spazio e architettura. La chiesa nel corso dei secoli ha subito diverse modifiche, troncamenti strutturali, funzioni e fruizioni da religiose a civili pur rimanendo a livello visivo, volumetrico e sentimentale un punto focale importante del circostante agglomerato urbano e per tutta la popolazione illasiana, che l’ha sempre identificata come immagine “religiosa”.
Il suo prospetto frontale posto ad ovest, tradisce tra i suoi elementi architettonici e formali una passata armonia, ora in parte alterata da rimaneggiamenti che non hanno rispettato la sua simmetria, semplice nella composizione forometrica e delle superfici, come lo era quella delle chiese minori, riccamente rappresentate sul territorio di Illasi.
Dopo i recenti interventi di restauro, alcuni di questi aspetti sono stati sapientemente recuperati e ora si ha una più “tranquilla” visione nella lettura del suo insieme. Il tetto a due falde richiama la composizione a capanna. Al centro la finestra a bifora è divisa da un’elegante colonnina con capitello a tronco di piramide capovolto, che dà inizio all’imposta dei due archi che la determinano, il tutto sorretto da un piano in pietra. La facciata nel suo insieme è caratterizzata dal portale rettangolare e dalle due ampie finestre laterali che accentuano aspetti tipici dell’arte del XVII secolo, cancellando i precedenti elementi romanici indubbiamente più consoni con l’insime che gli attuali fortemente incisivi. Il portale è in pietra di Vicenza, caratterizzato da un forte architrave, agli estremi due mensole aggettanti rispetto il piano di fondo a voluta, due settori lapidei ad arco terminanti con spirali creano una superficie sacra aperta dove doveva trovare alloggio un crocifisso o un riferimento sacro. Ai lati le due finestre, con pesanti grate, riprendono nelle fasce portanti modanature, scanalature del portale, né descrivono la forma in modo vincolato a dei canoni non più rispettati. La parte alta e il colmo del tetto sono il frutto d’ampliamenti successivi, il tutto inscritto in un timpano a cornice in pietra, purtroppo non in asse con il restante insieme, al centro del cateto orizzontale, la sagoma a riporto di una finestra a lunetta cieca. In alto, in corrispondenza del lato sinistro della facciata, si trova l’edicola con tettuccio a due falde, aperta ad arco a tutto sesto, dove trovava alloggio la campana, di piccole dimensioni vista la profondità.
La pianta dell’interno è rettangolare e anch’essa risente dei tanti cambiamenti subiti sia come edificio religioso, che come spazio abitativo civile, i suoi lati misurano in lunghezza 18,70 metri e in larghezza 6,70 metri. Dagli studi eseguiti dalla Soprintendenza Archeologica del Veneto Nucleo Operativo di Verona si può comprendere e capire nel dettaglio scientifico, tutto l’operato di un’ indagine che riscopre e valorizza un luogo rilevante che viene ad arricchire soprattutto il patrimonio artistico culturale del nostro paese. Dalle tracce emerse durante la campagna di scavo archeologico si sono identificate le fasi più antiche, l’idioma primario di un sito sacro, le manomissioni, le alterazioni, le diverse interpretazioni funzionali che l’uomo ha adattato a seconda delle sue necessità. Dell’architettura originaria di una prima chiesa, alto medievale, restano parti di fondamenta e l’andamento semicircolare dell’abside oggi leggibile nella diversa cromia del pavimento. Successivamente a questo tempio, dopo la demolizione, venne edificato un edificio civile, lo identificano a terra, parti in ciottolato e pietre. La chiesa romanica, nel suo insieme ordinato, doveva presentare forti analogie con le vicine S.Felice e S.Zeno, ad aula unica, rivolte con l’ingresso ad ovest e con abside ad est. Entrambe ci testimoniano la loro funzione sacra, ancora oggi, le loro pareti erano la Bibbia dei poveri, immagini sacre distese a nastro contornate da bordi e cornici scure, un racconto visivo dei testi Sacri, o della vita di un santo. Dal recupero delle pareti laterali, dagli intonaci, sono emersi pochi frammenti pittorici, ma anche qui sicuramente doveva coesistere un più complesso apparato figurativo, di tutto ciò ci è pervenuto un bellissimo affresco raffigurante San Cristoforo. La sua lettura iconografica e iconologia evidenzia una devozione popolare diffusa e la conferma di molti caratteri tipici degli affeschi del primo romanico. La figura è piatta nelle sue campiture cromatiche inscritta con bordi e linee che delimitano il soggetto, non è visibile nessun accenno alla prospettiva intuitiva.
San Cristoforo impugna il vincastro, bastone, germoglio della nuova fede, sorregge sulla spalla destra il Bambino Gesù. La fisionomica delimita con forza i tratti del viso, fisso nello sguardo frontale, gli zigomi due forme circolari, una grande aureola ne amplifica la santità, pochi gli elementi decorativi, risalta il mantello scuro che cadendo dalle spalle circoscrive tutta la sagoma del santo. Al centro, la cappa, si divide in due parti, si percepisce al di sotto la tunica più chiara nei toni. Il Bambino è piccolo nella proporzione tra le figure, poggia sicuro sulla spalla, un braccio verso il Santo simbolo della sicurezza del viaggiatore pellegrino, suscita in noi tenerezza.
La pavimentazione doveva essere semplice, tipica di questi luoghi della meditazione, fatta come per le murature con ciottoli e pietre del posto, creando involontariamente tessiture assai efficaci nel disegno, oggi tanto rivalutate in tutte le operazioni di restauro conservativo. Come nella vici.
M. D. F.
Fortino in località Griso
Immerso nella campagna tra gli oliveti in prossimità di San Colombano, dopo una breve deviazione in salita dalla strada comunale, si incontra questo piccolo, ma assai interessante, edificio.
Si presenta di forma circolare del tutto inusuale rispetto alle torri o ai punti di vedetta tipiche delle fortificazioni scaligere. La sua pianta è circolare e caratterizza il suo volume in altezza, formando un cilindro.
L’aspetto esteriore si fa notare per il rigore formale delle pietre che lo compongono, poiché determinano un reticolato ordinato che si sviluppa su moduli regolari nell’altezza e nella larghezza di circonferenze concentriche e sovrapposte.
La cromia dei lapidei è grigia e pone in risalto le modanature e i piccoli archi a tutto sesto che formano le monofore a feritoia, caratterizzate da una forte strombatura verso l’interno. I conci, unici nelle parti, sono levigati in superficie e descritti nella loro forma da una semplice scanalatura, che non accentua effetti chiaroscurali.
Alla monocromia della muratura, si contrappone la gronda, quasi una “trabeazione” decorativa che nel diverso materiale e nelle diverse forme, crea una fascia scura alla vista di particolare effetto visivo e architettonico. Formata da dei laterizi concavi sui quali si innestano ad appoggio altri convessi, che creano una linea curva sporgente e rientrante che va a delimitare l’imposta della copertura. Sono laterizi originali nella forma e unici per un edificio di modeste dimensioni. La copertura all’esterno leggermente a falda è formata da otto pietre triangolari che mimetizzano e non fanno intuire la cupola interna. E’ sormontata da un basamento circolare sul quale poggia una sfera con croce in ferro, in parte leggibile nella sua forma originale, che sollecita ad ulteriori indagini.
Il portale d’ingresso non presenta nessun tipo di bugnato, ma segue nella sua composizione la superficie curva. E’ ad arco a tutto sesto e ci introduce in questo piccolo spazio circolare caratterizzato dalle aperture e nella parte alta dai resti di doppie mensole che dovevano presumibilmente alloggiare le travi della soffittatura. Opposto all’ingresso, l’incàvo della sagoma di un probabile camino prosegue nella cappa che degrada con un canale verso la copertura. Dal punto di vista costruttivo è assai interessante la cupola interna, che partendo dall’imposta circolare, si suddivide in spicchi verso l’alto, attraverso una distribuzione metodica e graduale delle pietre che la compongono, degradando al centro. La struttura interna e quella esterna formano una doppia copertura con un probabile spazio di areazione tra le parti murarie.
Il fortino circolare poggia su un terrapieno dalla base più ampia che è caratterizzato dallo stacco sul piano terra da una corona in laterizio. Rivolto alla valle di Cazzano, il terrapieno, nella sua funzione di sostegno, ripresenta in altezza la stessa tessitura dei materiali e aperture a monofora, molto probabilmente per lo scolo delle acque, vista la non identificazione di un probabile passaggio al piano inferiore.
Al di sopra dell’apertura d’entrata una lapide reca la seguente scritta:
BONIFACIUS. SPREA. F.
ANDREAE. LATIORUM. F.
COLLE. SECTO. IMPLETA. VALLE
OLEAS. POSUIT. HANC. CONDIVIT
ANNO. SAL. M.D.CCC.XVII
Molti interrogativi rimangono sulla sua fruibilità e funzionalità ad uso civile o religioso, visto i diversi segni che lo compongono.
M. D. F.
Chiesa di San Colombano
Fin dal 1400″, scrive un parroco del 1700, “trovasi eretta di là dai monti una cappella ovvero oratorio sotto il titolo di San Colombano, di ragione e di dominio della comunità di Illasi, con un’immagine miracolosa di Maria Santissima (…). Corre voce che avesse un cemiterio all’intorno in occasione di contagi patiti, per tumulare cadaveri, ove esistesse un lungo e uncinato fero per attirare gli stessi alla sepoltura”.
La chiesa di San Colombano è sempre stata al centro dell’attenzione della pietà popolare, che in molteplici occasioni ha fatto ricorso all’immagine miracolosa sopra citata: un affresco (probabilmente realizzato in occasione dei lavori di ampliamento della chiesa organizzata dalla famiglia Pompei nel 1600) posto, dal 1823, sopra l’altare maggiore. Epidemie e carestie vissute dalla gente di Illasi hanno avuto, nel corso dei secoli, come punto di riferimento e motivo di speranza, la Madonna di San Colombano. Delle tante processioni votive, oggi sopravvive ancora dopo 150 anni, quella della seconda domenica di maggio, che ricorda la grazia concessa dalla Vergine in occasione del “cholera morbus” del 1835.
Altri affreschi, posteriori al 1400, si possono osservare sui muri interni ed esterni della chiesa. Le due figure di santi ai lati del presbiterio sono state scoperte recentemente e restaurate, per volontà di Don Alessandro Bennati.
Il Comune di Illasi dimostrò di essere proprietario del piccolo tempio intorno alla metà del 1500; anteriormente pare infatti fosse di proprietà della famiglia Pompei. Nel corso dei secoli, numerosi religiosi si succedettero nella custodia della chiesa.
La chiesa è stata restaurata nel 1970, con il contributo dei parrocchiani di Illasi.
Tratto da “Illasi e le sue Chiese”, pubblicazione realizzata dalla Biblioteca Comunale di Illasi, 198
Bibliografia a cura di Mariano Dal Forno:
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- Illasi, a cura di G. Solinas, Verona, 1960, p.7
- STORIE SEPOLTE, Riti e Culti all’alba del duemila avanti Cristo Mostra 25 ottobre 08 – 30 giugno09, Museo civico di Storia Naturale – Verona.
- San Martino Buon Albergo. Una comunità tra collina e pianura, a cura di Marco Pasa, San Martino B.A., 1998
- D. Coltro, Colognola ai Colli, San Giovanni Lupatoto Verona, 1985
- Appunti di viaggio. Alla scoperta di Verona Romana, Ideaz. e testi di Margherita Sboarina, Verona, 2008
- E. Buchi, Venetorum Angelus, Verona, 1993
- L. Salzani, Colognola ai Colli Indagini archeologiche,Vago di Lavagno Verona, 1983, pp.31 -38
- P. Zorzi, Le origini di Illasi, Verona, 2009
- Otto Von Hessen, I ritrovamenti barbarici nelle collezioni civiche veronesi del museo di Castelvecchio, Verona,1968
- Pisanello I luoghi del gotico internazionale nel Veneto,Venezia, 1996
- L. Puppi, L’ambiente, il paesaggio e il territorio, Torino 1980
- Illasi Una colonia, un feudo, una comunità,a cura di G.F. Viviani, Verona, 1991
- G. L Mellini, I maestri dei bronzi di San Zeno, Verona, 1992