L’Origine delle Specie

L’EVOLUZIONE

(a cura di Bruno Silvestrini)

L’ORIGINE DELLE SPECIE

CHARLES ROBERT DARWIN

(Shrewsbury, 12 debbraio 1809 – Londra, 19 aprile 1882)

Nell’agosto del 1831, all’età di ventidue anni, ricevette una lettera che avrebbe sconvolto tutta la sua vita. Veniva dal suo amico e insegnante John Steven Henslow: “Mi è stato chiesto”, scriveva Henslow, “di dare il nome di un naturalista che possa viaggiare con il capitano Fitzroy, che ha avuto l’incarico da parte del governo di disegnare una carta geografica della punta meridionale dell’America. Ho dichiarato che io ti considero la persona più qualificata per assumersi quest’incarico. Per quanto riguarda la retribuzione, non so. Il viaggio durerà due anni…”. §La nave era il brigantino a tre alberi di Sua Maestà Britannica “Beagle“(Segugio). Salpò da Plymouth, con rotta verso il Sudamerica, il 27 dicembre 1831 e non ritornò in Inghilterra prima dell’ottobre 1836.

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I due anni diventarono cinque, ma il viaggio verso l’America Latina si trasformò in un giro del mondo. Si parla del viaggio di ricerca più importante dell’epoca moderna. Dal Sudamerica proseguirono attraverso l’oceano Pacifico verso la Nuova Zelanda, l’Australia e il Sudafrica. Da li salparono nuovamente verso il Sudamerica prima di tornare finalmente in Inghilterra. Un’importanza determinante ebbero i numerosi sbarchi sulle isole Galàpagos, nell’oceano pacifico a ovest del Sud America. Quando tornò a casa, sebbene avesse solo ventisette anni, era già un naturalista famoso. Nella sua mente aveva elaborato una teoria precisa che poi sarebbe diventata quella finale sull’evoluzione, ma passarono diversi anni prima che pubblicasse la sua opera principale: “L’Origine delle Specie” pubblicato nel 1839, che scatenò in Inghilterra accesi dibattiti. Il titolo completo era: “Sull’Origine delle Specie per selezione naturale ovvero sulla conservazione delle razze favorite nella lotta per l’esistenza”.

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Nell’ Origine delle Specie, Darwin espose due teorie principali. Affermò cioè che “tutte le piante e gli animali discendono da forme precedenti, più primitive-quindi c’è un’evoluzione biologica-e che quest’evoluzione è frutto della selezione naturale. L’ipotesi di un’evoluzione biologica aveva cominciato a diffondersi già all’inizio del XIX secolo. L’evoluzionista più influente fu lo zoologo francese Lamarck. Prima di lui il nonno di Darwin, Erasmus Darwin, aveva espresso l’opinione che tutte le piante e gli animali si fossero evoluti da poche specie primitive. Tuttavia nessuno aveva saputo fornire spiegazioni accettabili su come avvenisse l’evoluzione. Per questo motivo la Chiesa non li considerò nemici pericolosi. Per naturalismo si intende una concezione del mondo che non riconosce altra realtà al di fuori della natura e del mondo sensibile. Un naturalista vede l’uomo come una parte della natura e soprattutto vuole procedere partendo esclusivamente da fatti naturali, quindi senza ricorrere a speculazioni razionalistiche né a rivelazioni divine. I presocratici volevano trovare spiegazioni naturali ai processi naturali. Come essi dovettero liberarsi delle vecchie spiegazioni mitologiche, così anche Darwin dovette liberarsi della concezione della Chiesa sulla creazione degli uomini e degli animali. Darwin fu un biologo e un naturalista, ma fu lo scienziato che più di chiunque altro nell’epoca moderna sfidò la concezione biblica della posizione dell’uomo nel creato. Tra gli uomini di Chiesa e in molti ambienti scientifici ci si atteneva all’insegnamento della Bibbia, secondo la quale le diverse specie animali e vegetali erano fisse, immutabili: ogni singola specie era stata creata una volta per tutte attraverso un singolo atto creatore. E questa concezione cristiana era anche in armonia con le teorie di Platone e di Aristotele. La dottrina delle idee di Platone implicava che tutte le specie animali fossero immutabili perché create secondo il modello delle idee eterne. Che le specie animali fossero immutabili era anche un punto fermo nella filosofia di Aristotele. Ma, proprio all’epoca di Darwin, vennero fatti ritrovamenti e osservazioni che contribuirono a incrinare le concezioni tradizionali. Anzitutto ci furono numerosi ritrovamenti fossili e di resti di ossa appartenenti ad animali estinti.

Lo stesso Darwin si stupì di avere rinvenuto resti di animali marini nell’entroterra; in Sudamerica ne scoprì alcuni addirittura sulle Ande. Ma che ci facevano degli animali marini là in cima? La maggior parte dei geologi condivideva una “teoria delle catastrofi” secondo la quale la Terra era stata più volte colpita da grandi inondazioni, da terremoti e da altri cataclismi che avevano distrutto ogni forma di vita. Una di queste calamità è descritta nella Bibbia: il diluvio universale e l’arca di Noè. Dopo ogni catastrofe Dio avrebbe quindi rinnovato la vita sulla Terra creando specie animali e vegetali nuove e “perfezionate”. I fossili erano le impronte di precedenti forme di vita che erano state distrutte da queste violente catastrofi. Ma quando Darwin viaggiò con il Beagle, aveva con sé il primo volume dei “Principi di geologia” del geologo inglese Charles Lyell, secondo il quale la configurazione attuale della Terra, fatta di alte montagne e profonde vallate, era il risultato di un’evoluzione lunghissima e lentissima. Secondo Lyell, se si ragionava in termini temporali molto ampi, cambiamenti molto piccoli potevano portare a grandi mutamenti geografici. Il tempo atmosferico e il vento, lo scioglimento dei ghiacciai, terremoti e sollevamenti del terreno. È noto che una goccia d’acqua erode la pietra non per via della sua forza, bensì grazie a un’azione continua e prolungata.

E Lyell sosteneva appunto che tali piccoli, graduali cambiamenti potessero, in un arco di tempo assai esteso, trasformare completamente la natura. Darwin capì che questa tesi poteva spiegare ben più che la presenza dei fossili marini sulle Ande, e fece per sempre sua l’idea che piccoli cambiamenti graduali potevano portare, col tempo, a drammatiche trasformazioni. Pensò quindi che una spiegazione analoga potesse essere usata anche per l’evoluzione animale. Un fattore determinante per la teoria di Lyell era l’età della Terra.
Al tempo di Darwin era diffusa l’opinione che fossero passati seimila anni da quando Dio aveva creato la Terra. Si era arrivati a questo numero sommando tutte le generazioni a partire da Adamo ed Eva fino ad oggi. Darwin valutò l’età della Terra sui trecento milioni di anni. Una cosa comunque era chiara: né la teoria di Lyell sull’evoluzione geologica graduale, né quella di Darwin avevano alcun senso se non si teneva conto di archi temporali enormi. Oggi sappiamo che la Terra ha un’età di 4,6 miliardi di anni. Un altro argomento fu la suddivisione geografica delle specie viventi. Darwin ebbe modo di constatare di persona che le diverse specie animali di una regione potevano distinguersi tra loro grazie a minuscole differenze. Fece alcune interessanti osservazioni soprattutto sulle isole Galàpagos. Un gruppo di isole vulcaniche molto vicine tra loro, quindi senza grandi differenze nella flora e nella fauna. In tutte le isole si imbatté in gigantesche testuggini, leggermente diverse da isola a isola.

tartaruga

Ancora più importanti furono le osservazioni compiute da Darwin sulla vita degli uccelli nelle Galàpagos. In ogni isola esistevano chiare variazioni tra le specie di fringuelli, soprattutto nella forma del becco. Darwin dimostrò che tali variazioni dipendevano da ciò di cui si nutrivano i fringuelli delle diverse isole: il fringuello dal becco appuntito si cibava di pinoli, quello canterino – dal becco più sottile – di insetti, quello con il becco più grosso di insetti che trovava nei tronchi e nei rami… Ognuna di queste specie aveva un becco perfettamente adatto al proprio modo di cibarsi. Tutti questi fringuelli potevano forse avere origine da un’unica specie che, con il passare degli anni, si era adattata all’ambiente circostante in modo da dare vita a nuove specie di fringuelli.

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Darwin cominciò a nutrire sempre più dubbi sull’immutabilità delle specie. Ma non aveva ancora una spiegazione valida per giustificare come potesse avvenire un’eventuale evoluzione o un adattamento all’ambiente. C’era anche un’altra argomentazione per dimostrare che tutti gli animali sulla Terra erano imparentati tra loro. Riguardava lo sviluppo del feto dei mammiferi. Paragonando il feto di un cane, di un coniglio e di un essere umano in uno stadio precoce, è difficile rilevare differenze. Era questo un segno che siamo tutti imparentati alla lontana. Ma non era riuscito ancora a trovare una spiegazione su come avvenga l’evoluzione. Darwin continuò a riflettere sulla teoria di Lyell sui piccoli mutamenti che potevano portare nel tempo a grandi trasformazioni, ma non riusciva a trovare una spiegazione che potesse valere come principio universale. Conosceva la teoria di Lamarck, secondo la quale le diverse specie animali avevano sviluppato ciò di cui ognuna aveva bisogno. Le giraffe, per esempio, secondo Lamarck, avevano il collo così lungo perché per molte generazioni si erano allungate per mangiare le foglie degli alberi. Egli riteneva che i caratteri “conquistati” da un singolo individuo potessero venire trasmessi per eredità alla generazione successiva. Ma questa teoria dei “caratteri acquisiti” trasmessi ereditariamente fu negata da Darwin, perché Lamarck non aveva prove per dimostrare le sue affermazioni. Tuttavia c’era qualcos’altro a cui Darwin continuava a pensare; il meccanismo stesso alla base dell’evoluzione delle specie era proprio sotto il suo naso: “La selezione naturale”. Gli uomini per oltre diecimila anni hanno allevato gli animali selezionando i migliori. Teneva la mucca che dava più latte e macellava quella che ne produceva di meno, così con le pecore per la lana, le galline per le uova, i cavalli più forti e veloci, ecc. gli uomini hanno compiuto una “selezione artificiale”. Questo vale anche per il regno vegetale: non si piantano patate di pessima qualità se se ne possono piantare di migliori, non si miete la spiga che non porta grano. Secondo Darwin, nessuna mucca, nessuna spiga, nessun cane e nessun fringuello sono uguali. La natura mostra un’enorme varietà. Anche all’interno di una stessa specie nessun individuo è perfettamente uguale a un altro. Poteva esistere un meccanismo analogo alle selezioni che fanno gli allevatori anche in natura? Era possibile che la natura compia una “selezione naturale” degli individui che devono sopravvivere? Un meccanismo del genere poteva, in un arco di tempo molto lungo, dare origine a specie completamente nuove di animali e piante? Al tempo del suo viaggio, Darwin non era ancora in grado di immaginarsi che la natura potesse procedere a una simile selezione ma, nell’ottobre del 1838, esattamente due anni dopo il suo ritorno con il Beagle, incappò in un libriccino scritto dall’economista inglese Thomas Malthus e intitolato “Saggio sul principio di popolazione”.

Malthus aveva avuto l’idea di scrivere questo libro da Benjamin Franklin (presidente degli Usa e inventore del parafulmine). Franklin riteneva che, se non ci fossero stati anche in natura fattori limitanti, una specie animale o vegetale si sarebbe diffusa in tutta la Terra. Solo perché esistono specie diverse, esse si tengono in scacco a vicenda. Malthus sviluppò questo pensiero e lo applicò alla popolazione terrestre. Spiegò che la capacità di procreazione dell’uomo è così grande che verranno sempre messi al mondo più bambini di quanti ne possano sopravvivere. Poiché la produzione di cibo non riuscirà mai ad andare di pari passo con la crescita della popolazione, un grande numero di persone è quindi destinato a soccombere nella lotta per l’esistenza. Riuscirà a sopravvivere e quindi ad assicurare la vita alla propria stirpe, solo chi dimostrerà di essere più forte nella lotta per la sopravvivenza. Questo era proprio il meccanismo universale che Darwin stava cercando: aveva trovato una spiegazione per giustificare il modo in cui avviene l’evoluzione: la selezione naturale nella lotta per la sopravvivenza, grazie alla quale chi meglio è adatto all’ambiente continuerà a vivere e a riprodursi. Questa fu la seconda teoria contenuta nell’Origine delle specie in cui Darwin scrisse: “L’elefante è animale che si riproduce più lentamente di tutti gli altri, ma se tutti i suoi piccoli vivessero, dopo un arco di tempo di 740-750 anni vivrebbero quasi diciannove milioni di elefanti originati da un’unica coppia”. elefanti

Darwin mise inoltre in evidenza che la lotta per la sopravvivenza spesso è più dura tra le specie che si assomigliano, perché lottano per lo stesso tipo di nutrimento. Allora sono i piccoli vantaggi, cioè le variazioni positive sulla media, a tornare utili. Più dura si fa la lotta per la sopravvivenza, più velocemente avviene l’evoluzione di nuove specie. Soltanto gli individui meglio adattati all’ambiente sopravvivranno: tutti gli altri sono destinati a estinguersi. Non si tratta soltanto di cibo perché è altrettanto importante non farsi mangiare da altri animali. Può essere dunque un vantaggio avere un colore che permette di camuffarsi, la capacità di correre rapidamente, di accorgersi della presenza di nemici o, nel peggiore dei casi, avere un sapore terribile. Un veleno che possa uccidere il predatore. Di fondamentale importanza è anche la capacità di riprodursi. Darwin studiò a lungo l’impollinazione. Le piante, con i loro profumi e i loro colori, attirano gli insetti che contribuiscono alla diffusione del polline. Anche il canto degli uccelli è in funzione della riproduzione. Coloro che, per un motivo o per l’altro, non riescono a trasmettere il proprio bagaglio ereditario sono i perdenti. In questo modo la specie migliora. Anche la resistenza alle malattie è un carattere che si conserva nelle varianti che sopravvivranno. La continua selezione fa si che gli individui meglio adattati a un determinato ambiente o a una determinata nicchia ecologica, sopravvivranno in quell’ambiente. Ma ciò che è utile in un ambiente può non esserlo in un altro. Proprio perché esistono tante diverse nicchie in natura, col tempo si sono sviluppate tante specie. Ma esiste una sola specie umana – perché gli uomini possiedono una fantastica capacità di adattamento alle più diverse condizioni di vita. Questo però non significa che tutti gli esseri umani sono uguali. Se gli uomini che vivono intorno all’equatore hanno la pelle più scura di coloro che abitano nelle regioni settentrionali, è perché la pelle nera protegge dai raggi del sole.

Gli uomini di pelle bianca che si espongono troppo al sole sono per esempio più soggetti al cancro della pelle. Ma è un vantaggio avere la pelle chiara se si abita al nord perché la pelle chiara riesce a produrre un certo tipo di vitamine, e questo è molto importante nelle regioni in cui c’è poco sole. Oggi questo ha poca importanza perché assumiamo tali vitamine attraverso l’alimentazione, ma niente in natura è casuale: tutto è dovuto a quelle piccolissime variazioni che hanno funzionato per un numero infinito di generazioni. Si può riassumere la teoria dell’evoluzione di Darwin così: si può dire che la materia prima responsabile dell’evoluzione della vita sulla Terra sono le continue variazioni fra individui all’interno di una stessa specie. Ed è l’alto tasso di natalità a permettere che una piccola percentuale di essi riesca a sopravvivere. Il meccanismo alla base dell’evoluzione è la selezione naturale nella lotta per la sopravvivenza. Questa selezione fa in modo che soltanto i più forti o chi si adatta meglio riesca a sopravvivere. Il libro sull’origine delle specie scatenò un putiferio. La Chiesa protestò con grande vigore e l’ambiente scientifico inglese si spaccò in due. In fondo queste reazioni non furono poi così strane dal momento che Darwin aveva in parte eliminato Dio dall’atto creatore. Ma, dissero alcuni, più illuminati, era impresa maggiore creare qualcosa che avesse in sé le proprie possibilità di sviluppo che creare tutte le cose una volta per tutte fissate nei minimi particolari.

Nel 1871 pubblicò “L’Origine dell’uomo e la selezione sessuale” in cui mette in evidenza le somiglianze esistenti fra gli uomini e gli animali, e sostiene che gli esseri umani e le scimmie antropoidi devono essersi evoluti un tempo da un antenato comune. Nel frattempo erano stati ritrovati i primi teschi fossili di un tipo umano estinto, prima in una cava di pietra sulle rocce di Gibilterra e alcuni anni dopo nel Neandertal, in Germania. Stranamente ci furono meno proteste nel 1871 che nel 1859, l’anno in cui Darwin aveva pubblicato l’origine delle specie, anche se, in effetti, la tesi che l’uomo discendesse da animali era già implicita anche nel primo libro. Molte persone si sentirono improvvisamente costrette a rivedere la propria opinione sulla narrazione biblica della creazione. A crollare, non fu soltanto l’interpretazione letterale della descrizione biblica: l’essenza della teoria di Darwin è che variazioni del tutto casuali avevano creato l’uomo. Di più: Darwin ha ridotto l’essere umano a prodotto così “ignobile” come la lotta per l’esistenza. Il punto debole della sua teoria era il modo in cui nascono quelle “variazioni” casuali. Darwin aveva idee molto vaghe sull’ereditarietà. Qualcosa capita già negli incroci. Un padre e una madre non hanno mai due bambini perfettamente uguali e già questo rappresenta una certa variazione. E poi ci sono piante e animali che si riproducono attraverso una gemmazione o una semplice divisione cellulare, e quindi senza incroci. A spiegare come si creino queste variazioni sarebbe poi venuto il cosiddetto “neodarwinismo”, che ha completato la teoria di Darwin. Tutta la vita e tutta la riproduzione si riconducono a una divisione cellulare: quando una cellula si divide in due, se ne formano due identiche dotate dello stesso bagaglio genetico. Con divisione cellulare si intende dire che una cellula copia se stessa. A volte, però, avvengono piccolissimi errori durante questo processo, e la cellula copiata non è del tutto identica a quella madre. Questo fenomeno viene chiamato nella moderna biologia “mutazione”. Le mutazioni possono essere del tutto insignificanti o al contrario portare evidenti trasformazioni nelle caratteristiche dell’individuo. Possono essere direttamente dannose e, in questo caso, i “mutanti” vengono continuamente eliminati. Anche molte malattie sono riconducibili a una mutazione. Altre volte una mutazione fornisce all’individuo proprio quella caratteristica positiva di cui ha bisogno per farsi valere nella lotta per la sopravvivenza. Per esempio un collo più lungo. La spiegazione di Lamarck del perché le giraffe abbiano un collo così lungo era che le giraffe avevano continuamente allungato il collo per mangiare le foglie degli alberi. Ma caratteri acquisiti nati da un’abitudine non potevano essere trasmessi. Secondo Darwin c’era stata una variazione naturale nella lunghezza del collo degli antenati della giraffa. Il neodarwinismo completò questa tesi indicando la causa di tali variazioni. Le mutazioni. Alcuni mutamenti casuali nel bagaglio genetico diedero ad alcuni antenati delle giraffe un collo leggermente più lungo della media. Variazione che poté diventare positiva e importante in un periodo di scarsità di cibo: chi raggiungeva i rami più alti sopravviveva. Questo è ciò che si chiama adattamento e si parla di una legge naturale.

Ci sono altri esempi che mostrano come gli esseri umani siano intervenuti nell’ambiente. Si è cercato di eliminare gli animali nocivi ricorrendo a varie sostanze velenose. All’inizio il risultato è stato positivo ma, quando spruzziamo un campo o un frutteto di insetticidi, si causa una piccola catastrofe ecologica tra gli elementi nocivi che vogliamo sterminare. Grazie a continue mutazioni può svilupparsi un gruppi di fattori nocivi più resistenti verso il veleno impiegato. Questi “vincitori” hanno maggiori chance di sopravvivenza e diventano sempre più difficili da eliminare proprio perché l’essere umano ha cercato di distruggerli. Sono le varianti più resistenti a sopravvivere. Anche nel nostro corpo cerchiamo di combattere dei nocivi: i batteri, e allora usiamo la penicillina o gli antibiotici. Una cura a base di penicillina rappresenta proprio una “catastrofe ecologica” per questi ospiti indesiderati ma, a poco a poco, certi batteri diventano resistenti anche alla penicillina; in questo modo abbiamo creato un gruppo di batteri molto più difficili da combattere. Dobbiamo ricorrere a dosi sempre maggiori di penicillina. È chiaro che la medicina moderna ha creato un serio dilemma. Non si tratta soltanto del fatto che i batteri sono diventati più resistenti.
Un tempo molti bambini morivano a causa delle malattie. In un certo senso però, la medicina moderna ha messo fuori gioco la selezione naturale. Ma ciò che giova all’individuo può alla lunga indebolire la capacità di resistenza dell’umanità alle malattie. Tutte le specie animali e vegetali presenti oggi nel mondo dobbiamo considerarle “vincenti”, almeno per il momento. Nell’albero genealogico di tutte le diverse specie animali si ha la suddivisione nelle diverse specie animali e vegetali e le singole specie appartengono a diversi gruppi e classi. L’uomo appartiene, insieme alle scimmie, ai cosiddetti primati. Tutti i primati sono mammiferi e tutti i mammiferi appartengono ai vertebrati, che a loro volta appartengono agli animali pluricellulari. Ma lo schema non mostra solo quale sia la suddivisione delle specie odierne. Dice qualcosa anche sulla storia dell’evoluzione della vita. Si può vedere, per esempio, che gli uccelli un tempo si separarono dai rettili , che a loro volta si divisero dagli anfibi, che a loro volta si separarono dai pesci. Ogni volta che una linea si divide sono avvenute mutazioni che hanno portato alla creazione di nuove specie. In questo modo nel corso di milioni di anni si sono formati i diversi gruppi e classi animali. Ma questo schema è molto semplificato: in realtà oggi esistono più di un milione di specie animali, e questo milione è solo una piccola parte di tutte le specie animali che hanno vissuto sulla Terra. Ad esempio, un gruppo animale come quello dei triboliti (artropodi marini-tre lobi), è del tutto sparito (sono esistiti nel periodo Cambriano, Paleozoico – 600 milioni di anni fa). E sotto abbiamo gli animali monocellulari. Alcuni di essi, non sono probabilmente mutati da un paio di milioni di anni. Esiste poi in questo schema genealogico, una linea che va dagli organismi monocellulari al regno vegetale perché molto probabilmente le piante si sono originate dalla stessa cellula primordiale degli animali. Da dove viene questa “cellula primordiale?”. Darwin, che era un uomo molto cauto provò a dare una risposta. Scrisse in proposito: ”…se potessimo immaginare una piccola pozza d’acqua calda, dove tutti i Sali di ammonio e fosforo, la luce, il calore, l’elettricità fossero presenti, e che un legame proteico si fosse creato in essa, pronto per subire mutazioni ancora più complesse…”. Darwin stava immaginando come la prima cellula vivente potesse essersi formata dalla materia inorganica. E ancora una volta centrò il bersaglio.

NASCITA DELLA VITA

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La scienza di oggi pensa proprio che la prima forma di vita sia nata da una “piccola pozza d’acqua calda” simile a quella di cui parla Darwin. Nessuno conosce la risposta a come sia nata la vita sulla Terra, molti pezzi sono andati a posto fino a comporre un quadro do come la vita possa essere nata. Si deve innanzi tutto tener presente che ogni forma di vita sulla Terra, vegetale o animale, è costituita dalle medesime sostanze. La definizione più semplice della vita è che ogni essere vivente possiede un metabolismo e si riproduce autonomamente. In ciò viene guidato da una sostanza che si chiama DNA (acido desossiribonucleico). Di questa sostanza sono fatti i cromosomi, ossia il materiale genetico, che si trova in ogni cellula vivente. Il DNA è una molecola, o meglio una macromolecola, molto complessa.

NASCITA DELLA TERRA

Come è nata la prima molecola di DNA? La Terra fu creata quando nacque il sistema solare circa 4,6 miliardi di anni fa.

Inizialmente era una massa incandescente, ma a poco a poco, la crosta terrestre si raffreddò. Secondo la scienza moderna la vita nacque circa tre-quattro miliardi di anni fa. All’origine la terra era molto diversa da com’è oggi. Non c’era nessuna forma di vita, non c’era neanche ossigeno nell’atmosfera. L’ossigeno puro fu creato soltanto con la fotosintesi delle piante. Il fatto che non esistesse ossigeno è importante: è impensabile che le fondamenta della vita, che possono dare origine al DNA, nascessero in un’atmosfera ricca di ossigeno, perché l’ossigeno è una sostanza molto reattiva: prima ancora di poter formare complicate molecole di DNA, questi mattoni della molecola di DNA si sarebbero “ossidati”.

Per questo sappiamo anche con certezza che oggi non può nascere nessuna forma di nuova vita, neanche un batterio o un virus. Tutta la vita sulla terra deve avere quindi la stessa età. Uno dei più grandi misteri della vita è che tuttavia le cellule degli animali pluricellulari hanno la capacità di specializzarsi in una particolare funzione, perché le diverse caratteristiche ereditarie o geni, sono “accese”, altre sono “spente”. Una cellula epatica produce proteine diverse da quelle di una cellula nervosa o epiteliale, ma in tutte e tre troviamo la stessa molecola di DNA, che contiene tutta la ricetta dell’organismo di cui stiamo parlando. Quando non c’era ossigeno nell’atmosfera non c’era neanche, intorno alla Terra, uno strato protettivo di ozono. Ciò significa che non c’era niente che potesse fermare le radiazioni provenienti dallo spazio. Anche questo è importante perché molto probabilmente queste ultime hanno avuto un ruolo decisivo quando si sono create le prime molecole complesse. Una radiazione cosmica fu l’energia che unì le diverse sostanze chimiche presenti sulla Terra per formare complesse macromolecole. Affinché si possano costituire le molecole complesse di cui è formata la vita, devono essere soddisfatte almeno due condizioni: non deve esserci ossigeno nell’atmosfera, e non deve esserci ostacolo alle radiazioni provenienti dallo spazio. Nella “piccola pozza d’acqua calda” o “brodo primordiale”, come la chiama la scienza moderna, si costituì un tempo una macromolecola molto complessa, che aveva la strana capacità di potersi dividere. Da questo momento prende avvio l’evoluzione.

Dopo un arco di tempo lunghissimo, accadde che gli organismi monocellulari si unissero per costituire organismi pluricellulari più complessi. Analogamente prese avvio la fotosintesi delle piante, e in tal modo si formò un’atmosfera ricca di ossigeno. Questo avvenimento ebbe un duplice effetto: anzitutto l’atmosfera fece si che si potessero sviluppare animali che erano in grado di respirare con i polmoni. Inoltre,’atmosfera protesse la vita dalle radiazioni nocive provenienti dallo spazio. Infatti queste radiazioni, importanti “scintille” per la creazione della prima cellula, sono anche dannose per tutta la vita animata. Ma l’atmosfera non si costituì nel giro di una notte. Come riuscirono a sopravvivere le prime forme di vita? La vita nacque dapprima nell’”oceano” quello che chiamiamo il “brodo primordiale”. Lì le prime forme di vita poterono svilupparsi al riparo dalle radiazioni nocive.

Soltanto molto più tardi, cioè quando la vita nell’oceano ebbe creato l’atmosfera, i primi anfibi strisciarono sulla terra. Attraverso milioni di anni si sono sviluppati animali dotati di un sistema nervoso sempre più complesso e un cervello sempre più grande. È possibile che tutto ciò sia casuale? È stata solo una casualità quella che ha creato l’occhio umano? O c’è un significato dietro al fatto che possiamo vedere il mondo che ci circonda? L’evoluzione dell’occhio colpì anche Darwin. Non riusciva a immaginare che qualcosa di così bello potesse essere nato soltanto per effetto della selezione naturale. È strano pensare che uno vivesse proprio in quel momento, che avrebbe vissuto soltanto quell’unica volta ed non sarebbe tornato a vivere. Questo perpetuo creare, allora, perché? Per travolgere nel nulla quel che è stato creato? Goethe fa dire ai suoi personaggi nel “Faust”: mentre Faust muore, e rivede la sua lunga vita, dice trionfante:

Potrei dire a quell’attimo:

«All’attimo direi:
sei così bello, fermati!
Gli evi non potranno cancellare
l’orma dei miei giorni terreni.
Presentendo una gioia tanto grande,
io godo ora l’attimo supremo.»

Anche se la sua vita è finita, Faust ha visto un significato nelle tracce che ha lasciato dietro di sé. Siamo parte di qualcosa di grande dove ogni più piccola forma di vita ha un significato nella totalità. Noi siamo un pianeta vivente. Noi siamo la grande nave che naviga intorno a un sole ardente nell’universo.
Ma ognuno di noi è anche un’imbarcazione che attraversa la vita con un carico di geni. Quando lo abbiamo trasportato fino al prossimo porto, allora non abbiamo vissuto invano. Il ritrovamento in Etiopia (aprile 2010) di un ominide vissuto circa 4,4 milioni di anni fa ha riaperto il dibattito sui motivi per i quali i nostri progenitori si trasformarono da quadrumani in bipedi. Si concorda sul fatto che circa 6 milioni di anni fa in Africa Orientale, zona in cui si è evoluta la nostra specie, vi fu una riduzione progressiva delle foreste, ricche di cibo e ripari. Per spostarsi meglio negli spazi sempre più ampi tra una macchia e l’altra, gli ominidi svilupparono l’andatura eretta che permetteva loro di scorgere da lontano i predatori. E le mani libere potevano essere adibite ad altri usi.

 

 

Bibliografia

Charles Darwin – Origine delle Specie – Introduzione di Giuseppe Montalenti – Edizione Club su licenza di Editore Boringhieri – Ed. Novembre 1982 – Pag. 556

Le immagini sono tratte da Internet